Le Opzioni miste sono al vaglio del Governo come possibile soluzione al ritorno della Legge Fornero. Un mix di contributi ed età anagrafica che garantirà la flessibilità tanto desiderata dai lavoratori.
Quota 100 modificata, Quota 102 più flessibile, Quota 103 o Quota 41 con l’introduzione del requisito anagrafico. Tante ipotesi, quale verrà realizzata?
Ecco la domanda chiave del momento, come si andrà in pensione nel 2023? Un quesito dalle molteplice risposte ma, al momento, tutte sul piano delle idee. Per conoscere la risposta definitiva occorrerà attendere la Legge di Bilancio 2023 sperando che il Governo abbia il tempo di formulare un sistema flessibile e conveniente per i lavoratori. I tempi sono stretti, infatti, e i temi da affrontare molteplici. I cittadini attendono, però, da troppo tempo un piano pensionistico che allontani definitivamente il pericolo del ritorno della Legge Fornero. Quest’attesa dovrà terminare prima o poi e la speranza è che la decisione venga presa prima della fine dell’anno. L’ormai quasi certa proroga di Opzione Donna e dell’APE Sociale è sicuramente una bella notizia ma servono altre misure da affiancare alla pensione di vecchiaia, alla pensione anticipata ordinaria e alla pensione per i precoci. Sembrerebbe che il Governo sia al lavoro sulle Opzioni miste che shakerano età anagrafica e contributi creando soluzioni flessibili. Scopriamo di più.
Un doppio requisito – anagrafico e contributivo – caratterizza le nuove proposte giunte sul tavolo di lavoro dell’esecutivo. Iniziamo da Quota 102 flessibile. Il 31 dicembre scadrà questa misura che ci ha accompagnato nel 2022. Prevede la possibilità di lasciare il lavoro a 64 anni con 38 anni di contributi proprio per raggiungere la quota 102. Una maggiore flessibilità potrebbe consentire ai lavoratori di mixare in maniera differente i requisiti. Ad esempio, 65 anni di età e 37 di contributi oppure 62 anni di età e 40 di contribuzione.
Nello specifico, il range ammissibile andrebbe dai 61 anni di età con 41 anni di contributi fino ai 66 anni con 36 anni di contributi scaldando di anno in anno i contributi all’aumentare dell’età . Naturalmente sarebbe necessario accettare una riduzione dell’assegno pensionistico. La penalizzazione dipenderebbe dagli anni di anticipo con cui si esce dal mondo del lavoro rispetto ai 67 anni di età .
Rimarrebbero fuori da questo sistema flessibile tutti coloro che per età o contributi non soddisfano entrambi i requisiti. Chi ha iniziato a lavorare in giovane età , ad esempio, potrebbe aver maturato anche 41 o 42 anni di contributi ma senza raggiungere i 61 anni. Rimarrebbe loro Quota 41 ma se non dovessero rientrare tra i precoci sarebbero esclusi da qualsiasi forma di pensionamento anticipato. Per equità andrebbe creato un sistema consono per questi lavoratori che replichi la flessibilità di Quota 102 a scaloni.
Concludiamo con un’altra ipotesi al vaglio del Governo, Quota 103. Servirebbero 64 anni di età e 39 di contributi per il pensionamento oppure 65 anni di età e 38 di contribuzione. Quali vantaggi per i lavoratori? Se mai troveremo una risposta ve la forniremo.
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