Quali sarebbero le conseguenze se in Italia tutti andassero in pensione a 64 anni di età? È un’ipotesi sostenibile?
In Italia il tema delle pensioni ritorna ciclicamente ad affiorare nel dibattitto pubblico. Segno che un sistema equilibrato e convincente per tutti ancora è ben lontano dall’essere messo a punto.
L’ultima suggestione – soprattutto per aggirare la riforma Fornero – è quella di chi ipotizza il pensionamento per tutti a 64 anni di età.
Ma cosa succederebbe se davvero tutti andassero in pensione a 64 anni? Stabilire l’età giusta per il pensionamento dipende da vari fattori. Primo fra tutti quello degli anni di lavoro sulle spalle. Un problema non soltanto economico, guardando cioè dal lato della spesa che le casse statali sono chiamate a sostenere. Va considerata anche l’indipendenza del pensionato che accede all’assegno.
Se tutti gli italiani uscissero dal mondo del lavoro a 64 anni di età cosa succederebbe alla spesa previdenziale italiana? Crescerebbe in maniera insostenibile?
Per gli analisti la risposta è sì, e non solo sulla carta ma anche in pratica. Un sistema dove tutti andassero in pensione a 64 anni di età non sarebbe sostenibile in una società dove il numero dei pensionati supera quello dei lavoratori. Un dato che in Italia diventerà realtà a livello nazionale entro il 2050. Sarà allora infatti che si consumerà il sorpasso degli over 65 sugli under 35. Ma già nel 2039 il numero degli over 64 sopravanzerà quello degli under 35.
Si tratta di una tendenza non soltanto italiana, che ha spinto altri Paesi a pensare a una profonda riforma del sistema pensionistico futuro.
Anche nell’ultima campagna elettorale il tema pensioni è stato uno dei più dibattuti, con tanto di promesse di difficile – se non impossibile – realizzazione. Il problema è che ci si concentra spesso sull’età giusta per uscire dl mercato del lavoro. Dimenticando spesso che anche per il lavoratore che finisce di lavorare l’assegno dev’essere sostenibile: prima si va in pensione, infatti, più basso è l’assegno che si riceve.
Andare in pensione a 64 anni, con 38 anni di contributi, porta a perdere circa 120-130 euro al mese rispetto a chi va in pensione tra anni più tardi, a 67 anni, con 41 anni di contributi. A farne le spese, letteralmente, sarebbe prima di tutto l’Inps, che già nel 2021 ha speso 312 miliardi di euro per le pensioni. Una spesa oltretutto destinata a crescere ancora. E che potrebbe mettere a rischio non solo le casse statali, ma tutta l’economia italiana.
Con la riforma Fornero le casse dello Stato hanno risparmiato fino a 22 miliardi di euro e oltre l’1,4% del Pil. Va dunque ponderato bene un cambio di sistema, soprattutto in previsione di un peggioramento della situazione. Che avverrà quanto toccherà ai nati tra gli anni 60 e 70 ad andare in pensione. Secondo le stime nel 2039 il rapporto tra lavoratori e pensionati sarà di 1 ogni 1,8.
Come detto, il problema non riguarda solo l’Italia. Anche altri Paesi si stanno attrezzando per far fronte all’invecchiamento della popolazione e il brusco calo dei lavoratori attivi tra i 18 e i 65 anni. Ad esempio in Giappone si stanno cercando di frenare le uscite dal mondo del lavoro. L’obiettivo è quello di portare l’età lavorativa almeno fino ai 70 anni, se non anche oltre (oltretutto nel Paese del Sol levante il 59% degli uomini tra i 65 e i 69 anni lavora ancora).
In Australia invece è stato introdotto un sistema pensionistico individuale, con i datori di lavoro che “congelano” in un conto bancario ad hoc i soldi versati per i propri dipendenti. Questi poi verranno restituiti a cadenza mensile come una rendita pensionistica. In più ogni lavoratore può versare i propri contributi nel fondo.
Scelte che prima o poi anche l’Italia, visto l’avanzare dell’inverno demografico, sarà costretta a prendere.
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