Parte il confronto tra governo e parti sociali per una riforma strutturale del sistema pensionistico. Preoccupa infatti l’evoluzione del quadro demografico.
Dall’Inps arriva l’allarme: a rischio l’equilibrio del sistema. Nel 2050 per ogni pensionato ci sarà un solo lavoratore.
Al via al ministero del Lavoro il tavolo di confronto tra il governo e le parti sociali. Obiettivo: la riforma delle pensioni. Ogni intervento però dovrà tenere conto di vari fattori, cioè:
Sul piano dell’evoluzione demografica il quadro non appare particolarmente ottimistico. Lo ha ricordato il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, durante il primo tavolo tecnico governo-parti sociali. Tridico ha parlato di un quadro che da qui fino al 2029 «non è positivo». Infatti già prima del 2030 il rapporto tra lavoratori e pensionati scenderà dall’1,4 di oggi all’1,3. Per poi calare ancora, nel 2050, fino a raggiungere la parità assoluta: uno a uno.
Un “pareggio” da tenere in conto in qualunque scelta in campo pensionistico. Come da tenere in conto, parlando di pensionamenti anticipati, dovrà essere l’andamento dell’aspettativa di vita (calata col Covid ma con ogni probabilità già in ripresa), senza dimenticare il collegamento coi contributi versati. Una via potrebbe essere quella di anticipare il pensionamento per le categorie più svantaggiate (lavori gravosi, invalidi, disoccupati, caregiver, ecc.) alla stregua della normativa sull’Ape sociale.
Il ministro del Lavoro Marina Elvira Calderone ha spiegato che «si lavorerà per trovare meccanismi di ulteriore miglioramento dell’attuale normativa vigente per quanto riguarda, in particolare, la flessibilità in uscita specialmente in riferimento alle categorie più interessate da lavori usuranti». L’esecutivo si dice disposto a «ripristinare permanentemente il Nucleo di valutazione della spesa previdenziale» per meglio monitorare i fattori che influenzano la spesa «consentendo una revisione sostenibile del sistema».
Ma il Governo appare pronto anche a una discussione in tema di previdenza complementare. Puntellare la “seconda gamba” del sistema pensionistico farebbe crescere infatti i fondi pensione e spingerebbe verso assegni più sostanziosi. Come già detto, il Governo mira a una riforma strutturale e punta a chiudere la stagione degli interventi tampone come quelli visti all’opera dal 2019 in avanti (con le varie Quota 100, Quota 102 e 103). Il limite con cui scontrarsi inevitabilmente sarà quello delle risorse a disposizione per una riforma non episodica del sistema pensionistico.
Uno scenario che però non sembra convincere del tutto i sindacati, Cgil in testa che col segretario Maurizio Landini ha sottolineato la a mancanza di risposte da parte del Governo sia riguardo alla tempistica che sulle risorse da mettere in campo.
Appare meno critica invece la Uil che ha ribadito la necessità di risposte rapide perché gli interventi dovrebbero trovare spazio nel Def di aprile. Anche dalla Cisl arrivano segnali più concilianti per l’avvio del confronto con l’esecutivo.
Anche da parte di Confindustria, col suo presidente Carlo Bonomi, c’è condivisione sulla necessità di una riforma strutturale (alla quale gli industriali si dicono pronti a fare la loro parte), rispetto a «interventi spot come Quota 100» che sono «onerosi» e «non creano occupazione giovanile e incidono sulle future pensioni delle persone».
Il confronto tra governo e parti sociali entrerà nel vivo a partire dall’8 febbraio. Per allora è previsto infatti un tavolo sulle misure per giovani e donne. Altri tavoli tematici verranno fissati a cadenza settimanale.
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