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Pensioni

Pensioni in Italia: spesa fuori controllo, l’INPS stima un buco di 10 miliardi

Le difficoltà per il Governo sono evidenti, la spesa per la previdenza sociale deve essere contenuta il più possibile per superare l’anno difficile. L’ostacolo maggiore sono inflazione e prezzo dell’energia.

La dimostrazione di un reale impatto sui conti pubblici sul 2023 il bilancio preventivo dell’INPS. L’istituto Nazionale di Previdenza ha stimato un risultato economico di esercizio negativo per oltre 9,7 miliardi di euro.

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L’andamento dell’economia italiana stimato per quest’anno impedisce di mettere al sicuro una riforma delle pensioni strutturale e a lungo termine. Il governo aveva in mente una piccola rivoluzione per superare i limiti attuali, ma la disuguaglianza continuerà ad accrescersi tra una generazione all’altra.

Per avere un esempio coloro che hanno iniziato a lavorare dal 1996 andranno in pensione col sistema contributivo, a partire dal 2035. Le vie d’uscita dal lavoro per loro sono incerte e sono posticipate con l’aumento della speranza di vita.

Per la Generazione X, ovvero i figli del boom economico, nati tra il 1965 e il 1980, Secondo le stime del l’INPS potrebbe esserci una pensione di appena 750 euro al mese. Il calcolo si riferisce ai contribuenti con un salario di 9 euro all’ora circa e versamenti contributivi trentennali.

Pensioni: chi lavora a intermittenza, con stipendi bassi, rischia grosso, ma entro 20 anni la situazione sarà insostenibile per tutti

Chi lavora a intermittenza, con stipendi bassi, rischia grosso; il sistema previdenziale dovrà cambiare per evitare la certezza della povertà assoluta. L’integrazione per raggiungere un reddito minimo non può essere fatta alle attuali condizioni; considerando il trend demografico sarà sempre più difficile.

Il rapporto tra lavoratori e pensionati è in costante calo per il basso numero di nuovi nati. Se oggi è all’1,4, fra cinque anni arriverà a 1,3 per toccare 1 nel 2050: significa che ogni lavoratore dovrebbe mantenere un pensionato. È del tutto evidente che con questi numeri le pensioni non saranno più sostenibili.

Se nel 2022 il bilancio INPS era positivo per 1,8, oggi rispetto allo scorso anno c’è uno scostamento stimato di 11,5 miliardi. La colpa sembra essere in gran parte dell’inflazione; le rivalutazioni delle pensioni sono costate circa 20 miliardi di euro. La spesa complessiva per le pensioni è oggi di circa 325 miliardi di euro l’anno.

Retribuzioni italiane e sistema pensionistico, si teme un buco finanziario sulla previdenza

Con retribuzioni che sono in media di 4 mila euro inferiori al resto d’Europa e con una media molto minore di occupati rispetto alla popolazione lavorativa il sistema non tiene. Nel nostro Paese i pensionati sono circa 16 milioni e gli occupati sono 23 milioni, di cui 18 milioni sono lavoratori dipendenti.

Il problema è che continuiamo a far finta di non vedere. Nel 2022 la spesa pubblica ha superato il 50% del Prodotto interno lordo mentre la pressione fiscale è di poco superiore al 42% del Pil.

Quel 42% di pressione fiscale è sostenuto da una fascia sempre più limitata di contribuenti: il 97% dell’Irpef è pagata dal lavoro dipendente e su 40 milioni di contribuenti oltre 18 milioni pagano il 2,3% dell’Irpef totale. In questa situazione lo slogan meno tasse è un evidente demagogia non applicabile senza garanzie sul debito a lungo termine.

Il presidente dell’Inps Pasquale Tridico aveva lanciato l’allarme al Parlamento: in assenza di interventi sulla spesa pensionistica e assistenziale, entro il 2029 l’Inps avrà un patrimonio negativo di 92 miliardi di euro. Ma il problema secondo Tridico è dovuto anche alla decontribuzione. La politica degli sgravi contributivi per assunzione di persone svantaggiate o per le donne e al Sud non ha portato i risultati sperati sul piano occupazionale. Per un funzionamento reale tali politiche hanno bisogno di un arco temporale maggiore, la costanza necessaria a queste soluzioni è spesso disattesa da un governo all’altro.

Le criticità maggiori riguardano la gestione del pubblico impiego spesso in perdita. Oltre questo la pensione di commercianti, artigiani e coltivatori diretti supera i contributi complessivi pagati da questi settori.


    Andrea Carta

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