Cos’è l’obbligo del ticket licenziamento e quali sono gli importi del ticket quantificato sulla base della Naspi 2023? I chiarimenti alla luce di quanto comunicato dall’istituto di previdenza nella circolare n. 14 del 3 febbraio scorso, sulla scorta del riepilogo della normativa da parte delo stesso Inps nella circolare n. 40 del 2020.
In determinati casi di cessazione del rapporto di lavoro, e dunque non in tutti, scatta l’obbligo di versamento del cosiddetto ticket di licenziamento (previsto dalla legge n.92 del 2012). C’è però chi non sa di che si tratta in concreto, a cosa serve di preciso e come si calcola.
Di seguito intendiamo offrire una panoramica sintetica proprio sul citato ticket licenziamento, ovvero una misura che si collega all’ottenimento dell’indennità di disoccupazione Naspi. Che cosa c’è da ricordare in proposito? Scopriamolo insieme.
Il ticket di licenziamento o contributo Naspi consiste:
Fughiamo ogni dubbio a riguardo: il contributo in oggetto è del tutto a carico del datore di lavoro e deve essere sempre pagato in una sola soluzione entro e non oltre il termine di effettuazione della denuncia posteriore a quella del mese nel quale si verifica l’interruzione del rapporto di lavoro in essere.
In particolare, il contributo viene quantificato sul massimale di retribuzione legato alla prima fascia di ammontare della Naspi, che per l’anno in corso corrisponde a 1.470,99 euro (ammontare 2022 aggiornato al tasso di inflazione del 7,3%).
Come detto, il ticket in oggetto scatta in tutti i casi nei quali la cessazione del rapporto implichi in capo al lavoratore il potenziale diritto all’indennità Naspi, al di là dell’effettiva fruizione della stessa. Sono ad esempio i casi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo o di licenziamento per giusta causa, di dimissioni per giusta causa o di dimissioni durante il periodo tutelato di maternità, o ancora di recesso del datore di lavoro durante o al termine del periodo di prova.
Mentre in altri casi il ticket licenziamento non è dovuto e ci riferiamo ad esempio a quello delle dimissioni volontarie del lavoratore, alla risoluzione consensuale del rapporto di lavoro in imprese con meno di 15 dipendenti (e ciò nel quadro del tentativo di conciliazione di cui all’articolo 410 c.p.c.). Ancora, non c’è obbligo di ticket licenziamento neanche nel caso di interruzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato del lavoratore già pensionato.
Per quanto attiene al calcolo dell’importo del contributo bisogna considerare che il suo ammontare non è correlato alla retribuzione individuale, ma scatta ed è obbligatorio in misura identica al di là della tipologia di lavoro, sia a tempo parziale che pieno.
La legge n. 92/2012, contenente disposizioni di riforma del mercato del lavoro, infatti indica non a caso che il ticket corrisponde al 41% del massimale mensile di Naspi per ogni dodici mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni.
In particolare per il 2023, per ogni anno di lavoro alle dipendenze il valore del ticket di licenziamento individuale corrisponde a 603,10 euro (ovvero 41% di 1.470,99 euro) e a 1.809,30 euro per i contratti che hanno avuto una durata uguale o maggiore di 36 mesi. Mentre la quota mensile per l’anzianità al di sotto dei 12 mesi è pari a 50,26 euro. Se la prestazione di lavoro a cui il ticket si collega è stata al di sotto dell’annualità il ticket va riproporzionato sulla scorta degli effettivi mesi di lavoro.
Attenzione ai dettagli perché va considerata come intera mensilità quella nella quale prestazione di lavoro si sia estesa per almeno 15 giorni, con la ulteriore particolarità per cui i mesi di lavoro diversi dal primo e dall’ultimo devono essere considerati mesi interi, al di là del numero di giornate lavorate.
Abbiamo visto che ai fini della determinazione del ticket licenziamento rileva l’anzianità aziendale, ovvero l’anzianità maturata dal giorno di immissione in servizio presso l’impresa nella quale il lavoratore subordinato è attualmente occupato.
Ebbene, proprio in riferimento al computo dell’anzianità aziendale non bisogna dimenticare che:
Proprio su questo tema è interessante notare anche che a partire dal primo gennaio 2017, nelle ipotesi di licenziamento collettivo senza accordo sindacale, il contributo in oggetto deve essere moltiplicato per tre volte.
Mentre per quanto attiene alle interruzioni dei rapporti di lavoro intervenute a partire dal primo gennaio 2018 nel quadro di un licenziamento collettivo da parte di un datore di lavoro obbligato alla contribuzione per la CIGS, l’aliquota di calcolo del contributo corrisponde invece all’82% del massimale mensile.
Non solo. Se nel caso concreto si hanno al contempo ambo i casi appena citati – ovvero licenziamento collettivo senza accordo sindacale, dal primo gennaio 2018 da parte di un datore di lavoro obbligato altresì alla contribuzione per CIGS – la conseguenza è che il ticket di licenziamento, corrispondente all’82% del massimale mensile, deve essere moltiplicato per tre volte.
Infine per i licenziamenti collettivi in cui si utilizza la percentuale dell’82% rispetto al massimale, il valore del ticket licenziamento corrisponde a 1.206,21 euro (valore mensile euro 100,51) per anzianità maggiore dei 12 mesi e
3.618,63 euro in rapporto ad un’anzianità uguale o maggiore di 36 mesi.
Molti inquilini si chiedono se il condominio possa prevedere un obbligo alla detenzione di animali…
Le spugne da cucina non sono tutte uguali ma, a seconda del colore, servono per…
Ci sono una serie di incentivi fiscali per installare condizionatori presso le abitazioni. In cosa…
Cosa dice la Legge sul prelievo massimo giornaliero al Bancomat o presso uno sportello della…
Negli ultimi anni, i progressi tecnologici hanno rivoluzionato diversi aspetti della vita delle persone fra…
Grande occasione in merito ai libro da comprare online con "all you can read", circa…