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Pensioni

In pensione con pochi contributi (o anche senza): le possibilità che lo permettono poco conosciute

Cosa succede al lavoratore privo dei contributi necessari alla pensione? Alcune opzioni riconosciute a norma di legge possono risolvere il problema.

Accedere a un trattamento pensionistico presuppone la maturazione di alcuni requisiti inderogabili. In primis quello anagrafico, visto che il traguardo standard per una pensione viene solitamente posto al termine dell’attività lavorativa.

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In secondo luogo, quello contributivo. Per certi versi più importante, poiché in relazione ai versamenti effettuati sarà possibile determinare quale trattamento sarà più idoneo alla nostra situazione. Ad esempio, per poter accedere alla pensione di anzianità ordinaria, al raggiungimento della soglia di età prevista per legge (67 anni), il contribuente dovrà risultare con una contribuzione perlomeno pari a 20 anni. È piuttosto evidente come, sulla base delle logiche previdenziali, la combinazione tra fattore anagrafico e lavorativo sia fondamentale per garantirsi un trattamento adeguato una volta concluse le proprie prestazioni nel mondo del lavoro. In questo senso, il quadro previdenziale consente l’accesso a trattamenti diversi a seconda degli anni di contribuzione. Permettendo, potenzialmente, di beneficiare di una pensione anche nel caso in cui i versamenti fossero ridotti. E, in alcuni casi (particolari), addirittura pari a zero.

Delle alternative alla pensione, comunemente intesa, in realtà esistono. Si tratta perlopiù di strumenti volti a garantire una sussistenza a quegli individui che, per ragioni diverse, non hanno potuto maturare, nel corso della loro vita, un numero adeguato di contributi versati. O, quantomeno, non in numero sufficiente per accedere a uno dei trattamenti ordinari, garantiti sulla base sia dell’attività svolta che dei versamenti. Senza contare che, per alcune particolari categorie di contribuenti, come le casalinghe, sono stati istituiti dei fondi appositi, basati su una contribuzione volontaria o integrativi rispetto a un diverso trattamento al quale si ha diritto. Casi che, a ogni modo, si presentano come in qualche modo più definibili rispetto a quello di un contribuente che, alla casella dei versamenti, reciti uno zero.

In pensione senza contributi: le alternative ai trattamenti ordinari

Nel caso in cui le quote del versato fossero estremamente esigue o addirittura nulle, lo Stato prevede sostanzialmente due soluzioni. Innanzitutto l’Assegno sociale, concesso sulla base del reddito del richiedente e sgravato dal requisito della contribuzione, in ogni sua variabile. Meno elastica l’opzione della pensione contributiva, per la quale basteranno sì appena 5 anni di contributi versati ma, al contempo, un requisito anagrafico obbligatorio di 71 anni.

Assegno sociale: quanto spetta

Trattamenti inquadrati secondo logiche piuttosto rigide da parte dell’Inps che, tuttavia, permette qualche deroga a seconda delle situazioni. L’Istituto, in assenza dei requisiti minimi ordinari ma in presenza di 67 anni compiuti, concede già di per sé l’Assegno sociale. Strumento che sarà commisurato al reddito del richiedente. Questo significa, nel 2023, figurare con un reddito inferiore a 6.542,51 euro (per i non sposati) e a 13.085,02 euro (in presenza di famiglia). Attenzione alla pensione contributiva: l’accesso al trattamento presuppone 5 anni di versamenti effettuati interamente a partire dal 1996. Ossia, dall’anno in cui la riforma delle pensioni ha fissato il calcolo della propria posizione previdenziale sulla base del metodo contributivo. In altre circostanze, è prevista la soluzione del riscatto.

Legge Dini e deroghe varie

In tal senso, una possibile (e non sempre battuta) via potrebbe essere tracciata dai dettami della Legge Dini, introdotta nel 1995 e destinata ai cosiddetti pensionandi “quindicenni”. Nello specifico, in assenza del requisito base dei vent’anni di contribuzione, il richiedente potrà farne valere 15 (chiaramente se presenti), con l’accortezza di averne maturati meno di 18 prima del 1996 e almeno 5 in periodi successivi. Un’alternativa che, in presenza di un requisito base di vent’anni di contribuzione, consentirebbe di sfruttare uno scivolo per accedere a una particolare forma di anticipo.

La stessa prevista da strumenti come Ape Sociale o Quota 41, sia pure destinati a lavoratori ordinari. Il requisito dei 15 anni, a ogni modo, potrebbe risultare valido anche qualora, al 31 dicembre 1992, il pensionando abbia versato già tre lustri di contributi previsti. Un’opzione concessa dalle deroghe Amato, approvate dall’Inps anche per quei lavoratori che, in tale data, pur non avendo raggiunto i contributi necessari riusciranno a beneficiare della cosiddetta prosecuzione volontaria.


    Damiano Mattana

    Laureato in Lettere, giornalista e web content writer. Ha condotto inchieste su temi di attualità e sociale. Scrive di economia, politica, esteri e Vaticano.

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