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Pensioni

Pensione con meno di 20 anni di contributi: un’occasione in un sistema sempre meno equo

Non tutti i lavoratori devono attendere la maturazione di 20 anni di contributi per andare in pensione. Ecco chi ne ha diritto.

Andare in pensione senza aver raggiunto i 20 anni di contribuzione non è semplice. Tuttavia, in alcuni casi la normativa italiana, consente a determinati contribuenti di smettere di lavorare anche senza il requisito contributivo minimo.

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Alcuni contribuenti possono della pensione con una copertura assicurativa maggiorata se hanno svolto la propria attività lavorativa in specifiche condizioni. Questo consente di ottenere un montante contributivo moltiplicato per specifici coefficienti.

La conseguenza è un’anzianità contributiva accresciuta che si somma a quella reale. Sono i casi in cui con 18 o 19 anni di versamenti previdenziali il lavoratore può accedere al pensionamento anticipato, senza dover attendere la maturazione dell’anzianità contributiva per la pensione di vecchiaia ovvero 67 anni. I destinatari sono coloro che hanno iniziato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995, cioè quelli che ricadono nel sistema di calcolo contributivo dell’assegno pensionistico.

La normativa, inoltre, prevede per le donne una maggiorazione di 4 mesi per ciascun figlio, fino ad un massimo di 12 mesi. Ad esempio, una donna nata nel 1995 che ha 3 figli e ha versato il primo contributo dal ‘96, può accedere al pensionamento usufruendo di un vantaggio di 12 mesi pari a 4 mesi per ogni figlio.

Per definizione la pensione anticipata è il trattamento pensionistico che può essere conseguito anche prima del raggiungimento dell’età anagrafica per il pensionamento prevista dalla legge.

Chi ha il diritto oggi del pensionamento anticipato?

Ad averne diritto oggi i lavoratori come gli artigiani, i commercianti e coltivatori diretti e ancora tutte le categorie iscritte alla gestione separata Inps. I requisiti contributivi per accedere alla pensione anticipata sono fissati, fino al 31 dicembre 2026, a 42 anni e 10 mesi per gli uomini e a 41 anni e 10 mesi per le donne.

Di solito però tenendo conto degli accrediti contributivi: obbligatori, volontari, da riscatto e figurativi devono figurare almeno 35 anni di contribuzione. Il requisito contributivo può essere ottenuto anche tramite cumulo, sommando i versamenti accreditati presso gestioni previdenziali differenti, casse professionali comprese.

Un altro modo per anticipare la pensione dipende invece dalla normativa per i lavori usuranti relativa ai dipendenti del pubblico impiego e del settore privato che abbiano svolto nell’arco della propria vita lavorativa alcune attività.

Le attività lavorative considerate usuranti che valorizzano gli anni di contributi.

Tra queste quelle appartenenti a:

  • Lavoratori notturni a turni e/o per l’intero anno degli addetti alle catene di montaggio o di imballaggio. Sono coloro che svolgono attività caratterizzate da ripetizioni costanti dello stesso ciclo lavorativo.
  • Conducenti di veicoli per il trasporto pubblico o collettivo, di capienza complessiva non inferiore a nove posti.
  • Lavori in galleria, cava o miniera, impianti ad alte temperature, lavori in cassoni ad aria compressa.
  • Attività di asportazione dell’amianto, quelle di lavorazione del vetro cavo; i lavori svolti dai palombari, quelli espletati in spazi ristretti.

Tutte queste attività devono essere state svolte per almeno 7 anni negli ultimi 10 di servizio, o per almeno metà della vita lavorativa totale.

Quali sono le prospettive di pensionamento con un inflazione più alta della crescita del PIL?

Per accedere alla pensione nulla è cambiato rispetto allo scorso anno e nulla dovrebbe in meglio 2024. La motivazione è semplice ed è stata esemplificata dalla simulazione operata in questi giorni dal Sole24.

L’esempio mostra come un pensionato a 67 anni e una crescita dei redditi pari all’inflazione target della Bce, ossia del 2% decresca nel tempo in base alla variazione del Pil. È stata poi ipotizzata una rivalutazione della media quinquennale del Pil in base a tre scenari: 0%, 1% o 2%, da ciò risulta che:

Con l’ipotesi di un Pil invariato e un reddito pensionistico di 28.519 euro, il tasso di sostituzione è del 53%. Se l’ultimo stipendio è stato di 2.500 euro lordi la pensione sarà  pari a 1.325 euro. Con la seconda ipotesi di un Pil all’1% e un reddito pensionistico di 33.317 euro, il tasso di sostituzione è del 62%.

Quindi, rispetto all’ultimo stipendio di 2.500 euro lordi la pensione è appena di 1.550 euro. Con la terza ipotesi, infine, la crescita del Pil compensa l’obbiettivo di inflazione al 2% e con reddito pensionistico di 39.357 euro, il tasso di sostituzione è del 73%, ottenendo con lo stipendio di 2.500 euro una pensione di 1.825 euro.

L’andamento delle pensioni dipende oltre che dalla crescita demografica anche naturalmente da quella economica. Laddove l’andamento del Pil dovesse rimanere vicino allo 0% per le pensioni future la differenza tra stipendio e pensione è sempre più marcata.


    Andrea Carta

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