Lo sganciamento dall’Isee tramite il Quoziente familiare punta a favorire i nuclei familiari numerosi. Ma il dibattito è aperto…
Addio all’Isee per lasciar posto al Quoziente familiare. Un obiettivo dichiarato del Governo Meloni, che lavora alla rideterminazione del sistema di tassazione italiano ricalcando il meccanismo di quello francese.
Una soluzione che mira ad avvantaggiare le famiglie più numerose, in quanto le imposte applicate al reddito complessivo sarebbero ammortizzate in base alla composizione del nucleo familiare. Il che, chiaramente, andrebbe a riconsiderare quello che, finora, è stato il piano di tassazione, focalizzato sui redditi individuali. La ricetta è abbastanza semplice, almeno sul piano generale: ridurre il peso fiscale sui nuclei familiari più numerosi e, di conseguenza, alle prese con spese maggiori. A un primo sguardo, appare abbastanza evidente che i vantaggi sarebbero indirizzati perlopiù ai contribuenti parte delle famiglie con più componenti, favorite dallo sgonfiamento del piano d’imposta proporzionalmente all’estensione del nucleo. Nondimeno, le aliquote progressive riferite al reddito pro-capite sarebbero già di per sé minori rispetto a quelle applicate sui singoli redditi.
A grandi linee, uno strumento utile per il calcolo dei redditi. Anche perché, sulla base delle agevolazioni già previste per situazioni particolari, come la presenza di soggetti disabili nel nucleo familiare, il Quoziente familiare andrebbe a facilitare ulteriormente l’accesso alle varie indennità. Il concetto di fondo è l’equità della ripartizione dei beni in condizione di parità reddituale. Con tanto di risparmio medio – indicato dai dati Eurispes – di circa 800 euro a famiglia nei versamenti richiesti tramite imposta. Il Quoziente si baserebbe unicamente sul numero dei componenti della famiglia e sulle loro peculiarità. La somma dei redditi sarebbe quindi ripartita per il coefficiente di ciascun componente.
Tenendo conto la possibilità di adeguare al meglio la tassazione per le famiglie, viene da chiedersi se il Quoziente familiare sia in grado, effettivamente, di rimpiazzare il calcolo standard tramite Isee. Al momento, secondo il piano di riforma, i coefficienti sarebbero ripartiti in tal modo:
La situazione potrebbe cambiare in presenza di componenti superiori a quattro o di disabili a carico. In questi casi, il Quoziente familiare potrebbe alzare il coefficiente anche a 4. Sulla base dei criteri a disposizione, una famiglia standard beneficerebbe di un coefficiente di 2 (per i genitori) e di 0,5 per ogni figlio fino al secondo. Tenendo conto di un reddito di 30 mila euro, con deduzione forfettaria pari al 10%, sull’importo ottenuto andrà applicata la ripartizione del coefficiente ottenuto. Sulla somma finale, sarà calcolata l’aliquota IRPEF destinata al pagamento delle imposte. Per quanto riguarda i disabili, tuttavia, l’agevolazione scatterebbe unicamente qualora il soggetto fosse un figlio fiscalmente a carico.
Tale sistema, pensato per le famiglie, vede nella sua stessa concezione uno dei motivi di critica. Questo perché, chiaramente, in condizioni di parità reddituale, le famiglie monoreddito o con meno figli a carico beneficerebbero di una scorciata minore sul piano di tassazione. Elemento che alimenta il dibattito circa la reale possibilità che il Quoziente familiare possa risultare più incisivo (e soprattutto più equo) dell’Isee. L’indicatore attuale viene determinato tenendo conto del reddito complessivo del nucleo familiare, con l’aggiunta del 20% del valore del patrimonio mobiliare e immobiliare. Il tutto viene poi definito e ripartito sulla base di una scala di equivalenza, che non equipara il peso reddituale dei membri ma lo ripartisce a seconda della condizione.
Un gap abbastanza evidente fra Isee e Quoziente familiare emerge nel momento in cui a calcolare il proprio reddito fosse una famiglia senza figli. In questo caso, la somma dei redditi sarebbe divisa solo per due e il coniuge con il reddito più alto (nella maggior parte dei casi l’uomo) andrebbe a beneficiare di un’applicazione minore dell’aliquota, mentre il coniuge con reddito più basso subirebbe l’effetto contrario.
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