La scienza fa passi da gigante. Oggi parliamo di un incredibile scoperta scientifica sull’Alzheimer: è colpa delle infezioni!
L’Alzheimer è una malattia neurodegenerativa che determina un deterioramento cognitivo lento e progressivo. Ad oggi, non è ancora stata individuata la causa scatenante dell’Alzheimer che, con ogni probabilità, ha una matrice genetica. Ma non si escludono fattori esterni.
Un recente studio ha individuato una correlazione tra la comparsa dell’Alzheimer e, più in generale, del deterioramento cognitivo e alcune infezioni. In particolare, è stata riscontrata un’associazione tra la performance negative nei test di funzione cognitiva globale, nei soggetti che hanno contratto cinque comuni patogeni.
Gli scienziati hanno condotto un test che ha preso in considerazione 575 adulti, in età compresa tra 41 e 97 anni. I soggetti esaminati sono stati sottoposti a test cognitivi e ad esami del sangue con lo scopo di individuare la presenza di anticorpi di 5 comuni patogeni.
Quello che è emerso dai risultati è estremamente sconcertante: le persone anziane o di mezza età che presentano elevati livelli di anticorpi del virus come Herpes Simplex e cytomegalovirus hanno avuto scarse performance nei test cognitivi. Lo scopo di questi test era quello di valutare diversi aspetti tra cui l’orientamento, la comprensione, la memoria e l’attenzione.
Al termine dello studio, si è giunti alla conclusione che le infezioni comuni possono contribuire sul declino cognitivo delle persone.
In particolare, gli studi si sono concentrati sulla presenza di anticorpi relativi a cinque comuni patogeni:
I partecipanti, 575 adulti, hanno fornito campioni di sangue e sono stati sottoposti ai test cognitivi. I risultati del test hanno evidenziato una correlazione tra livelli elevati di anticorpi e il test cognitivi con punteggio basso.
L’idea generale, spiegata dall’autore Senior Adam Spira professore del dipartimento di salute mentale della Bloomberg School, è che: “Le infezioni comuni possano contribuire al declino cognitivo e forse al rischio di Alzheimer era una volta ai margini e rimane controversa, ma in virtù dei risultati come quelli di questo studio, sta iniziando a ottenere maggiore attenzione da parte della comunità scientifica”.
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