Mentre in Europa è attesa la seconda lettura del PIL del quarto trimestre che dovrebbe confermare un rialzo dello 0,1%, le nuove stime per l’Italia non parlano più di recessione.
Nel 2024 sarà in Ue tra quelli con la minore crescita economica e pari all’1%. Nel 2023 l’unico a entrare in recessione sarà la Svezia, unico Paese a riportare il segno meno, con il -0,8%.
I nuovi dati sono quanto emerge dalle previsioni economiche d’inverno pubblicate dalla Commissione europea. L’attività economica italiana si riprenderà anche se molto lentamente. La gradualità della crescita economiche dipenderà dal risultato del rialzo dei tassi di interesse e dalla propensione al consumo delle famiglie.
A frenare maggiormente il Pil sono la perdita di potere d’acquisto, soprattutto a causa del costo delle utenze domestiche. Le altre cause sono la scadenza delle agevolazioni fiscali sui carburanti e di altre misure a sostegno dei redditi delle famiglie che terminano a fine marzo 2023.
In questo contesto le grandi aziende, nonché la borsa e gli investitori hanno atteso con impazienza il dato sull’inflazione USA, spartiacque per comprendere chiaramente l’efficacia delle politiche restrittive e i tempi di ripresa a livello globale.
Quali saranno le nazioni europee con la più alta del PIL nei prossimi anni?
In Europa il dato preliminare sull’occupazione del quarto trimestre del 2022 è visto in positivo dello 0,2% dopo lo 0,3% precedente. Chi crescerà di più nel vecchio continente saranno: Irlanda e Malta che nel 2023 e nel 2024, avranno un PIL in crescita rispettivamente del 4,9% e del 3,1% per quest’anno e del 4,1% e del 3,7% per il prossimo.
Per quanto riguarda il 2024 oggi la prospettiva di una crescita positiva che non esclude nessuno tra i Ventisette è subordinata all’assenza di soprese nella guerra in Ucraina.
In questo contesto con l’impennata dei tassi di riferimento la liquidità è ridiventata un asset competitivo, provocando un calo delle quotazioni e l’aumento dei rendimenti delle titoli di Stato. Ciò abbinato all’ampliamento degli spread creditizi, ha prodotto un’abbondanza notevole in termini di rendimento.
Tuttavia, le apparenze ingannano. L’attenzione che ha accresciuto l’attrattiva dell’obbligazionario è arrivata a tal punto tale che i portafogli sul reddito fisso sono oggi sovraesposti alle obbligazioni e sottoesposti alle azioni.
Con l’avanzare dell’anno in corso l’aspettativa è che gli investitori, superati i timori dell’inflazione ed eventuali speculazioni su calo degli utili delle aziende e default obbligazionari, spostino di nuovo l’interesse verso le Azioni.
Il rischio delle obbligazioni: perché le aspettative possono essere infrante
Il rendimento cedolare medio di un’obbligazione ad alto rendimento statunitense è prossimo al 10%. In un contesto di debolezza della domanda, costi operativi nettamente più elevati e aumento degli investimenti, le aziende capaci di adattarsi tenderanno a riacquistare le loro obbligazioni mentre le altre andranno probabilmente in default. Di conseguenza, questi rendimenti del 10% possono rivelarsi illusori in quanto esistono solo sulla carta.
Se gli indici aziendali di esposizione finanziaria e di copertura degli oneri sembrano oggi sotto controllo, ciò è dovuto in gran parte agli elevati profitti del passato.
Il passaggio dalla scarsità all’abbondanza di rendimento delle obbligazioni è stato repentino ed eclatante. L’entusiasmo tuttavia deve oggi essere affrontato con cautela considerando che il rialzo dei tassi rende il contesto operativo più difficile per le imprese e irto di ostacoli economici e finanziari.
Quest’anno il Pil italiano dovrebbe crescere in media dello 0,8%, un dato in rialzo rispetto a quello dello scorso autunno che avevano previsto una crescita dello 0,3%. Mentre rallentano i consumi privati e gli investimenti delle imprese, secondo l’esecutivo Ue, la produzione economica italiana cresciuta del 3,9% nel 2022, è stata trainata dalla domanda interna, in particolare del settore immobiliare.
La credibilità delle azioni del Governo saranno determinanti di fronte alla capacità di finanziamento della spesa pubblica, così come quelle della banca centrale lo saranno difronte all’inflazione. In entrambi i casi bisognerà dare prova di saggezza ed equilibrio.
Secondo il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco intervenuto al Warwick Economics Summit dal titolo “Politica monetaria e ritorno dell’inflazione”. I recenti sviluppi nell’area dell’euro e negli Stati Uniti, danno adito a un’aspettativa di rapido riassorbimento dell’inflazione che “scenderà rapidamente al 2% nel contesto di un rallentamento temporaneo”.
Visco si mostra ottimista e il risultato potrebbe essere ottenuto con una crescita positiva pur molto debole. “Non vedo motivi convincenti per cui l’inflazione non torni al target, nonostante l’ancora eccessiva liquidità presente nel sistema economico. A tal fine, sarà indispensabile un’attenta valutazione quantitativa dei rischi o e dei loro effetti.